l’Estetica dell’Etica
di: Sergio Grasso
L’agricoltura di oggi è quella che farà mangiare i nostri figli. È per loro che dobbiamo dedicare ogni sforzo non più, e non solo, alle logiche di profitto del mercato quanto al riconoscimento dei contenuti morali dell’agricoltura e al governo del territorio
Non abbiamo altra strada che adottare un atteggiamento partecipativo e responsabile nella nostra prassi alimentare.
Nel breve volgere di qualche decennio, l’Italia è diventata un paese diverso ed irriconoscibile. Un mondo rurale e contadino si è trasformato in uno scenario industriale e postmoderno. Un’epoca cafona e volgare ha oscurato la civiltà delle ville rinascimentali e delle fattorie, inaugurando quella dei capannoni e dei laboratori.
E così, prima ancora dei gusti, si sono stravolti i ritmi della vita: ansiosi, scalmanati, convulsi.
Siamo sicuri che gli unici modelli perseguibili siano quelli che hanno sostituito quella società agricola della quale tutti, più o meno, abbiamo esperienza o radici? La società contadina esercitava un forte controllo rituale sul cibo. Non era meglio o peggio, ma le ristrettezze economiche imponevano una scelta limitata e ragionata dei nutrimenti, nulla andava sprecato, il riciclo degli avanzi della mensa era una dote, non una vergogna e il calendario alimentare era in sintonia con le stagioni.
Un complesso sistema di regole sociali e di buone maniere dava senso e rilevanza ai comportamenti e ai valori del cibo. Se nel termine “etica” includiamo anche il senno necessario a distinguere la cacca dal cioccolato, non meravigliamoci del gusto strano del nostro cono gelato.
Forse stiamo meglio (ho detto forse) ma nell’ansia di riscatto dalla fame e dalla povertà abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca. La famiglia patriarcale, dicono i sociologi, è divenuta “nucleare” – padre, madre e un figlio – probabilmente più adatta ad assicurare alle generazioni successive il supporto emotivo per affrontare le loro strade.
Ma chi trasmette alle nuove generazioni quel bagaglio di conoscenze, esperienze e consapevolezze senza le quali un sistema è privo di fondamenta? La scuola? La televisione?Il listino di borsa?
Aumenta la popolazione dei singles, le donne un po’ si vergognano e un po’ non hanno tempo da dedicare alla cucina e sono frequenti i pranzi fuori casa; si fa la spesa in grandi centri di vendita, possibilmente con la famiglia e tendenzialmente per ingannare il tempo (ingannare, appunto).
Insomma, nella civiltà postagraria ed urbana l’ordine delle cose – l’etica appunto – è saltata. Le nuove tecniche di conservazione e di produzione ci consentono di mangiare alimenti fuori stagione e il valore simbolico dei cibi rituali ha preso connotazioni ridicole.
Il pranzo è diventato uno spuntino veloce attorno al quale si è sviluppato un esecrabile servizio di paninoteche, mense, self-service, tavole calde, fast-food: “mangifici”.
Nelle famiglie (a trovarne…) si è affermata la cucina veloce e sono cambiate le tecniche e gli strumenti di cucina. I risvolti positivi ci sono, indubbiamente.
Per esempio sono tramontati i piatti che richiedono lunghe cotture, come i ragù o gli stracotti, che pareva non si potessero fare in meno di sei ore. Ma l’abbandono di queste Riflessioni: cucina, alimentazione & territorio Di Sergio Grasso cotture infinite, capaci di distruggere finanche i tegami oltre alle qualità nutrizionali del cibo, non è avvenuto per motivi salutistici o grazie alla consapevolezza che meno un cibo è manipolato più è adatto al nostro organismo. Nooo!
È la fretta, la superficialità, il servilismo nei confronti delle multinazionali del gusto ad averci piegato alle insalate pre-tagliate, ai prosciutti pre-affettati, ai cibi pre-cotti, pre-digeriti, pre-suntuosi e spesso pre-giudicati.
I gusti degli Italiani si sono progressivamente omologati a quelli internazionali, allontanandosi sempre più dalle mille tradizioni paesane e regionali della nostra stupenda e variegata cucina.
L’omologazione ha stravolto le regole del pasto: si può mangiare da soli o in compagnia, seduti a tavola o in piedi, a qualunque ora, liberi dalle indicazioni rituali e dietetiche della tavola sociale, ragionevole.
Tornare sui nostri passi guardando a terra per raccattare ciò che ci siamo persi è l’ultima speranza che ci resta per evolvere consapevolmente. La tradizione non è mai stata un ostacolo allo sviluppo.
Molte tecniche di cottura, mille ingredienti e infinite ricette che noi definiamo “tradizionali”, sono state al loro apparire innovative, spesso rivoluzionarie. Il mais ma ancor più la patata e il pomodoro, giunti in Europa dalle Americhe, furono osteggiate per secoli prima di diventare capisaldi della nostra cultura gastronomica.
Le tecniche di frittura le abbiamo apprese dalla cultura cinese, lo zucchero e la pasta ce l’hanno portate gli arabi e molta cucina tradizionale romanesca, veneziana o siciliana di oggi, si fonda su prodotti e tecniche – ebraica, bizantina, maghrebina – estranee alle nostre antiche abitudini. Si evolve solo con la ragionevolezza e la tolleranza, non c’è scampo.
Ogni innovazione e ogni rivoluzione portano con loro qualcosa di buono, sennò non sarebbero avvenute. La nostra apertura mentale (quando c’è) ci permette di identificare quel “buono” e quel “bene” che ci è più utile e funzionale.
La tradizione è quasi sempre un’innovazione che ha avuto fortuna.
L’estetica dell’etica